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Bodyguard sotto copertura di Marianna Vidal prologo

 


di Marianna Vidal




Prologo


 

 

 


 

 

Los Angeles

 

Un mese prima

 

 

 

In Molson Street è difficile non notare questo imponente edificio nero che riflette il paesaggio circostante.

È uno scatolone di cinquantacinque piani, una struttura moderna, in acciaio e vetro, che si sviluppa in verticale, per quasi duecentoventotto metri.

In cima c’è l’ufficio di Oliver Page, il presidente della Page International Car, la multinazionale al terzo posto nel mondo per la produzione e la distribuzione di automobili di lusso, che è anche uno degli uomini più ricchi e potenti degli Stati Uniti.

Mi sistemo per l’ennesima volta il nodo della cravatta, cercando di non sembrare nervoso.

Accanto a me c’è quello che ho scoperto essere un amico di Page dai tempi dell’infanzia, il generale James Russell: un colosso di un metro e ottantacinque, stazza robusta, capelli cacio e pepe, grosse sopracciglia cespugliose, naso aquilino e sguardo fiero. È a lui che devo questa mia seconda vita. Prima di diventare una guardia del corpo ero nei Marine e lui era un mio superiore.

Le nostre strade probabilmente non si sarebbero mai incrociate, se un giorno non mi fossi trovato a passare davanti al suo ufficio, accorgendomi che del fumo usciva da sotto la porta.

Non ho seguito la procedura, ma mi sono fidato del mio istinto. Qualcosa mi diceva che dovevo intervenire. Ho sfondato quell’uscio chiuso a chiave e ho trovato il generale privo di sensi, ancora seduto sulla sua poltrona con alcuni documenti sulla scrivania.

Intorno a lui il fuoco ardeva senza controllo, divorando mobili, tappeti, suppellettili. Il rischio era che raggiungesse le travi in legno che decoravano il soffitto, rischiando di sgretolare tutta la struttura.

Non ci ho pensato un attimo. Ho sollevato il cappotto sul capo e mi sono fatto strada tra lingue di fuoco fino a quando non sono giunto a lui. L’ho trascinato fuori per un’uscita secondaria, riuscendo a percorrere una trentina di metri con quel pesante fagotto al seguito.

Un commilitone mi si è avvicinato, chiedendomi cosa fosse successo, ma non è stato necessario aggiungere altro. È scattato l’allarme e le esercitazioni in caso di incendio hanno fatto il resto.

Da quel giorno, il generale Russell mi ha accolto sotto la sua ala protettrice ed è stato al mio fianco nei momenti più difficili della mia vita, come il padre che non ho mai avuto.

«Blake, hai fatto la scelta giusta», mi rassicura. «Dopo il senatore Curter, avevi bisogno di un incarico meno impegnativo e la mia figlioccia potrebbe stupirti».

Faccio una smorfia, poco convinto.

«Lo dubito», bofonchio. «In questi tre giorni mi sono informato sull’amata figlia unica di Oliver Page e quello che ho scoperto è molto lontano da ciò che definirei un soggetto facile da gestire».

«Ora non esageriamo».

Russell si scioglie in una risata, proprio nell’attimo in cui le porte dell’ascensore si aprono. «La mia Kelly è una ragazza deliziosa. Bisogna solo saperla prendere per il verso giusto».

«Peccato che io non sia una donna interessata alla cosmetica, perché in tal caso avrei potuto chiederle una tonalità giusta di rossetto».

«Morris, ti ricordo che sono in servizio».

James prova a non ridere, ma la mia non voleva essere una battuta.

Ho seguito per qualche giorno l’account IG della principessa e ho ascoltato la sua vocina squillante, mentre spiegava ai suoi follower come passare il mascara sulle ciglia. È bella da paura, ma solo per una notte senza futuro. Un tipo come lei può vivere tra i balocchi di Beverly Hills, non certo a Little Havana, e nella vita di tutti i giorni deve essere di una noia mortale. Per non parlare di capricci e vizi da figlia di milionario. Decisamente, non il mio tipo.

Oltrepassiamo la porta di vetro su cui è riportato il logo della Page.

Mi guardo intorno, mentre Russell si avvicina alla segretaria dietro il bancone, in questa sala dalla forma ottagonale che alterna porte con etichette in ottone e sedie imbottite per gli ospiti in attesa.

I miei occhi passano in rassegna ogni angolo di questo posto, alla ricerca di elementi che mi possano impensierire in qualche modo.

È una deformazione professionale.

«La signorina ci condurrà da Oliver», mi rivela, qualche istante dopo, James, tornando da me, mentre la bionda, strizzata in un tailleur, si affretta a condurci lungo un breve corridoio che dà accesso all’area presidenziale.

C’è la sala riunioni, quella riservata ai soci e poi la presidenza.

La biondina bussa con discrezione un paio di volte a quest’ultima e pochi istanti dopo sulla soglia appare un uomo sui cinquantacinque anni, dalla folta capigliatura bionda, spruzzata di bianco sulle tempie, e un paio di baffetti che nascondono labbra sottili.

Oliver Page è più alto di quanto immaginassi. Deve sfiorare il metro e ottanta, ma non raggiunge me che tocco i novanta.

Gli occhi chiari ricordano quelli della figlia, ma sono di un colore indefinito tra l’indaco e l’azzurro. Sorvolano rapidi su di me e si soffermano sull’uomo al mio fianco.

«James, sempre al lavoro!», esclama, indicandogli la divisa.

«Torno alla base, appena Blake avrà firmato i documenti», si schernisce l’interessato e l’imprenditore torna a guardarmi nuovamente, questa volta con maggiore attenzione.

«Blake Einar Sanchez Morris, giusto?».

Attende che annuisca, per commentare orgoglioso:

«Non mi sfugge niente».

Dopo qualche istante, però, scuote il capo, come se qualcosa lo impensierisse.

«Hai raggiunto i trenta?».

«Ventotto», gli rammento.

«È tutto riportato qui».

Un tipo stempiato, in giacca e cravatta, seduto intorno al lungo tavolo, di lato alla scrivania del presidente, agita un foglio.

«Sì, Frank, so che hai annotato tutto, ma mi chiedo ancora se non sia troppo giovane».

«Siamo ancora a questo punto?», sbotta Russell, con una certa sopportazione. «Mi sembrava ne avessimo parlato e alla fine ti eri convinto che per non scontrarti con tua figlia, Blake è perfetto».

«Sì, ricordo quello che ci siamo detti. Nonostante tutto…». Mi scruta dall’alto in basso. «Lo hai visto? Non è proprio il ragazzo della porta accanto e mia figlia non è mai stata una monaca».

Abbasso lo sguardo sulla mia figura. Per l’occasione ho indossato un abito scuro, con tanto di cravatta a rombi neri e rossi, ma di solito preferisco un abbigliamento più casual.

Per quanto riguarda il resto, ho un fisico atletico, la pelle ambrata, i capelli corvini e ricci, gli occhi di un verde oliva, ereditati da mia madre.

Di solito, però, non mi soffermo tanto sul mio aspetto fisico. Insomma, non ho mai fatto nulla per essere così. Il merito o forse il demerito è dei miei genitori che si sono scelti su criteri estetici. Per questo forse non è durata tra loro, ma ora poco importa.

«Presidente, Morris non deve passare inosservato tra gli abitanti di Beverly Hills», gli rammenta una brunetta, dai capelli corti e lo sguardo vivace, che Russell mi spiega essere l’avvocato Craig. «L’identità che abbiamo pensato per lui è stata cucita su misura per Morris».

«Oliver, garantisco io per il ragazzo. È una persona di fiducia, un professionista integerrimo ed è come un figlio per me».

Mi volto a guardare il generale con profonda riconoscenza, mentre il presidente abbandona ogni remora, esclamando:

«Mi fido di voi. Procediamo».

Raggiunge un mobile di liquori, poco distante da noi e armeggia con una bottiglia e dei bicchieri.

Quando si volta me ne porge uno con due dita di whisky, saltando la gerarchia, ma rifiuto.

«Non bevo in servizio».

«Bravo!». Si porta alle labbra quanto era destinato a me, per guardarmi dal bordo del cristallo.

«Kelly è fidanzata», mi rammenta a un tratto, puntandomi addosso i suoi occhi chiari. «Il ragazzo non mi piace e sono determinato a mandare a monte questa frequentazione, ma tu saresti anche peggio come genero. Dunque, ricordati di questo particolare, quando ti metterà a fuoco».

«Naturalmente», farfuglio, ma poi cerco Russell con lo sguardo e lo scorgo a pochi passi da me, indifferente ai modi insoliti dell’imprenditore. Mi fa cenno di non dare eccessiva importanza a quello che dice il suo amico.

L’accordo è chiaro: mi occuperò della sicurezza della signorina Kelly Page, senza che lei ne venga a conoscenza, introducendomi nella sua cerchia di amicizie, per rendere meno sospetta la mia presenza nei luoghi che frequenta.

La mia vicinanza alla principessa sarà di tipo professionale e qualsiasi altra relazione non sarà contemplata.

Come se una viziata, capricciosa e arrogante bambolina possa in qualche modo attirare la mia attenzione!

Se sono qui è solo per rispetto a James e per il sostanzioso assegno che approderà sul mio conto.

«Signor Morris…».

La figura grigia e stempiata che ho scorto al mio ingresso, seduta sul fondo del tavolo da riunioni, mi fa cenno di avvicinarmi e pochi istanti dopo l’avvocato Craig lo affianca.

«In questa busta troverà tutto quello che le serve per calarsi nei panni di Blake Morris, nato a New York, nel dicembre del millenovecentonovantacinque. Figlio di Samantha Jackson e…».

«Harry Morris», finisce la donna. «Suo padre è un costruttore molto quotato e lei lo aiuta nella sua attività, come architetto. Lavora prevalentemente in Europa». Mi mostra delle brochure su cui sono riportate diverse realizzazioni moderne che, stando a quanto c’è scritto qui, sono state realizzate da me.

«La signorina Kelly non è un’esperta, ma alcuni suoi amici potrebbero chiederle una consulenza», mi redarguisce la brunetta. «Lei dirà loro di contattare la sua segretaria». Mi porge un biglietto. «Le faremo pervenire altri cartoncini come questi».

«Anne Danielle?», domando, confuso.

«È il vero architetto», mi rivela Page, affiancandomi. «Una ragazza che, dietro giusto compenso, elaborerà eventuali progetti che porteranno la sua firma».

Page sfoglia i documenti contenuti in una cartellina e infine li restituisce al legale.

«Avete consegnato al signor Morris anche la chiave della villa e le carte di credito?».

«È tutto nella busta», gli assicura l’avvocatessa, per poi piantarmi addosso le sue iridi di un castano ambrato, specificando:

«Il credito è illimitato, per consentirle di muoversi agevolmente in certi ambienti».

«Capisco».

Infilo in tasca quanto mi hanno consegnato e passo a firmare i documenti.

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