Los Angeles
Un mese prima
In Molson Street è difficile non notare questo
imponente edificio nero che riflette il paesaggio circostante.
È
uno scatolone di cinquantacinque piani, una struttura moderna, in acciaio e
vetro, che si sviluppa in verticale, per quasi duecentoventotto metri.
In
cima c’è l’ufficio di Oliver Page, il presidente della Page International Car,
la multinazionale al terzo posto nel mondo per la produzione e la distribuzione
di automobili di lusso, che è anche uno degli uomini più ricchi e potenti degli
Stati Uniti.
Mi
sistemo per l’ennesima volta il nodo della cravatta, cercando di non sembrare
nervoso.
Accanto
a me c’è quello che ho scoperto essere un amico di Page dai tempi
dell’infanzia, il generale James Russell: un colosso di un metro e
ottantacinque, stazza robusta, capelli cacio e pepe, grosse sopracciglia
cespugliose, naso aquilino e sguardo fiero. È a lui che devo questa mia seconda
vita. Prima di diventare una guardia del corpo ero nei Marine e lui era un mio
superiore.
Le
nostre strade probabilmente non si sarebbero mai incrociate, se un giorno non
mi fossi trovato a passare davanti al suo ufficio, accorgendomi che del fumo
usciva da sotto la porta.
Non
ho seguito la procedura, ma mi sono fidato del mio istinto. Qualcosa mi diceva
che dovevo intervenire. Ho sfondato quell’uscio chiuso a chiave e ho trovato il
generale privo di sensi, ancora seduto sulla sua poltrona con alcuni documenti
sulla scrivania.
Intorno
a lui il fuoco ardeva senza controllo, divorando mobili, tappeti,
suppellettili. Il rischio era che raggiungesse le travi in legno che decoravano
il soffitto, rischiando di sgretolare tutta la struttura.
Non
ci ho pensato un attimo. Ho sollevato il cappotto sul capo e mi sono fatto
strada tra lingue di fuoco fino a quando non sono giunto a lui. L’ho trascinato
fuori per un’uscita secondaria, riuscendo a percorrere una trentina di metri
con quel pesante fagotto al seguito.
Un
commilitone mi si è avvicinato, chiedendomi cosa fosse successo, ma non è stato
necessario aggiungere altro. È scattato l’allarme e le esercitazioni in caso di
incendio hanno fatto il resto.
Da
quel giorno, il generale Russell mi ha accolto sotto la sua ala protettrice ed
è stato al mio fianco nei momenti più difficili della mia vita, come il padre
che non ho mai avuto.
«Blake,
hai fatto la scelta giusta», mi rassicura. «Dopo il senatore Curter, avevi
bisogno di un incarico meno impegnativo e la mia figlioccia potrebbe stupirti».
Faccio
una smorfia, poco convinto.
«Lo
dubito», bofonchio. «In questi tre giorni mi sono informato sull’amata figlia
unica di Oliver Page e quello che ho scoperto è molto lontano da ciò che
definirei un soggetto facile da gestire».
«Ora
non esageriamo».
Russell
si scioglie in una risata, proprio nell’attimo in cui le porte dell’ascensore
si aprono. «La mia Kelly è una ragazza deliziosa. Bisogna solo saperla prendere
per il verso giusto».
«Peccato
che io non sia una donna interessata alla cosmetica, perché in tal caso avrei
potuto chiederle una tonalità giusta di rossetto».
«Morris,
ti ricordo che sono in servizio».
James
prova a non ridere, ma la mia non voleva essere una battuta.
Ho
seguito per qualche giorno l’account IG della principessa e ho ascoltato la sua
vocina squillante, mentre spiegava ai suoi follower come passare il mascara
sulle ciglia. È bella da paura, ma solo per una notte senza futuro. Un tipo
come lei può vivere tra i balocchi di Beverly Hills, non certo a Little Havana,
e nella vita di tutti i giorni deve essere di una noia mortale. Per non parlare
di capricci e vizi da figlia di milionario. Decisamente, non il mio tipo.
Oltrepassiamo
la porta di vetro su cui è riportato il logo della Page.
Mi
guardo intorno, mentre Russell si avvicina alla segretaria dietro il bancone,
in questa sala dalla forma ottagonale che alterna porte con etichette in ottone
e sedie imbottite per gli ospiti in attesa.
I
miei occhi passano in rassegna ogni angolo di questo posto, alla ricerca di
elementi che mi possano impensierire in qualche modo.
È
una deformazione professionale.
«La
signorina ci condurrà da Oliver», mi rivela, qualche istante dopo, James,
tornando da me, mentre la bionda, strizzata in un tailleur, si affretta a condurci
lungo un breve corridoio che dà accesso all’area presidenziale.
C’è
la sala riunioni, quella riservata ai soci e poi la presidenza.
La
biondina bussa con discrezione un paio di volte a quest’ultima e pochi istanti
dopo sulla soglia appare un uomo sui cinquantacinque anni, dalla folta
capigliatura bionda, spruzzata di bianco sulle tempie, e un paio di baffetti
che nascondono labbra sottili.
Oliver
Page è più alto di quanto immaginassi. Deve sfiorare il metro e ottanta, ma non
raggiunge me che tocco i novanta.
Gli
occhi chiari ricordano quelli della figlia, ma sono di un colore indefinito tra
l’indaco e l’azzurro. Sorvolano rapidi su di me e si soffermano sull’uomo al
mio fianco.
«James,
sempre al lavoro!», esclama, indicandogli la divisa.
«Torno
alla base, appena Blake avrà firmato i documenti», si schernisce l’interessato
e l’imprenditore torna a guardarmi nuovamente, questa volta con maggiore
attenzione.
«Blake
Einar Sanchez Morris, giusto?».
Attende
che annuisca, per commentare orgoglioso:
«Non
mi sfugge niente».
Dopo
qualche istante, però, scuote il capo, come se qualcosa lo impensierisse.
«Hai
raggiunto i trenta?».
«Ventotto»,
gli rammento.
«È
tutto riportato qui».
Un
tipo stempiato, in giacca e cravatta, seduto intorno al lungo tavolo, di lato
alla scrivania del presidente, agita un foglio.
«Sì,
Frank, so che hai annotato tutto, ma mi chiedo ancora se non sia troppo
giovane».
«Siamo
ancora a questo punto?», sbotta Russell, con una certa sopportazione. «Mi
sembrava ne avessimo parlato e alla fine ti eri convinto che per non scontrarti
con tua figlia, Blake è perfetto».
«Sì,
ricordo quello che ci siamo detti. Nonostante tutto…». Mi scruta dall’alto in
basso. «Lo hai visto? Non è proprio il ragazzo della porta accanto e mia figlia
non è mai stata una monaca».
Abbasso
lo sguardo sulla mia figura. Per l’occasione ho indossato un abito scuro, con
tanto di cravatta a rombi neri e rossi, ma di solito preferisco un
abbigliamento più casual.
Per
quanto riguarda il resto, ho un fisico atletico, la pelle ambrata, i capelli
corvini e ricci, gli occhi di un verde oliva, ereditati da mia madre.
Di
solito, però, non mi soffermo tanto sul mio aspetto fisico. Insomma, non ho mai
fatto nulla per essere così. Il merito o forse il demerito è dei miei genitori
che si sono scelti su criteri estetici. Per questo forse non è durata tra loro,
ma ora poco importa.
«Presidente,
Morris non deve passare inosservato tra gli abitanti di Beverly Hills», gli
rammenta una brunetta, dai capelli corti e lo sguardo vivace, che Russell mi
spiega essere l’avvocato Craig. «L’identità che abbiamo pensato per lui è stata
cucita su misura per Morris».
«Oliver,
garantisco io per il ragazzo. È una persona di fiducia, un professionista
integerrimo ed è come un figlio per me».
Mi
volto a guardare il generale con profonda riconoscenza, mentre il presidente
abbandona ogni remora, esclamando:
«Mi
fido di voi. Procediamo».
Raggiunge
un mobile di liquori, poco distante da noi e armeggia con una bottiglia e dei
bicchieri.
Quando
si volta me ne porge uno con due dita di whisky, saltando la gerarchia, ma
rifiuto.
«Non
bevo in servizio».
«Bravo!».
Si porta alle labbra quanto era destinato a me, per guardarmi dal bordo del
cristallo.
«Kelly
è fidanzata», mi rammenta a un tratto, puntandomi addosso i suoi occhi chiari.
«Il ragazzo non mi piace e sono determinato a mandare a monte questa
frequentazione, ma tu saresti anche peggio come genero. Dunque, ricordati di
questo particolare, quando ti metterà a fuoco».
«Naturalmente»,
farfuglio, ma poi cerco Russell con lo sguardo e lo scorgo a pochi passi da me,
indifferente ai modi insoliti dell’imprenditore. Mi fa cenno di non dare
eccessiva importanza a quello che dice il suo amico.
L’accordo
è chiaro: mi occuperò della sicurezza della signorina Kelly Page, senza che lei
ne venga a conoscenza, introducendomi nella sua cerchia di amicizie, per
rendere meno sospetta la mia presenza nei luoghi che frequenta.
La
mia vicinanza alla principessa sarà di tipo professionale e qualsiasi altra
relazione non sarà contemplata.
Come
se una viziata, capricciosa e arrogante bambolina possa in qualche modo
attirare la mia attenzione!
Se
sono qui è solo per rispetto a James e per il sostanzioso assegno che approderà
sul mio conto.
«Signor
Morris…».
La
figura grigia e stempiata che ho scorto al mio ingresso, seduta sul fondo del
tavolo da riunioni, mi fa cenno di avvicinarmi e pochi istanti dopo l’avvocato
Craig lo affianca.
«In
questa busta troverà tutto quello che le serve per calarsi nei panni di Blake
Morris, nato a New York, nel dicembre del millenovecentonovantacinque. Figlio
di Samantha Jackson e…».
«Harry
Morris», finisce la donna. «Suo padre è un costruttore molto quotato e lei lo
aiuta nella sua attività, come architetto. Lavora prevalentemente in Europa».
Mi mostra delle brochure su cui sono riportate diverse realizzazioni moderne
che, stando a quanto c’è scritto qui, sono state realizzate da me.
«La
signorina Kelly non è un’esperta, ma alcuni suoi amici potrebbero chiederle una
consulenza», mi redarguisce la brunetta. «Lei dirà loro di contattare la sua
segretaria». Mi porge un biglietto. «Le faremo pervenire altri cartoncini come
questi».
«Anne
Danielle?», domando, confuso.
«È
il vero architetto», mi rivela Page, affiancandomi. «Una ragazza che, dietro
giusto compenso, elaborerà eventuali progetti che porteranno la sua firma».
Page
sfoglia i documenti contenuti in una cartellina e infine li restituisce al
legale.
«Avete
consegnato al signor Morris anche la chiave della villa e le carte di
credito?».
«È
tutto nella busta», gli assicura l’avvocatessa, per poi piantarmi addosso le
sue iridi di un castano ambrato, specificando:
«Il
credito è illimitato, per consentirle di muoversi agevolmente in certi ambienti».
«Capisco».
Infilo
in tasca quanto mi hanno consegnato e passo a firmare i documenti.
Commenti
Posta un commento